Il vescovo e i giovani, guardando le stelle per ricalcolare la rotta dopo la tempesta

 

“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti” – sono proprio le parole di Papa Francesco, scandite lo scorso 27 marzo, in una piazza San Pietro completamente vuota, bagnata dalla pioggia, che hanno dato vita ad un bellissimo dialogo tra i giovani della nostra Diocesi e l’Arcivescovo Giuseppe. “La tempesta e le stelle”, questo il titolo dell’incontro che si è tenuto sabato 23 maggio, in modalità online, organizzato dal Centro Diocesano di Pastorale Giovanile insieme alla Pastorale Universitaria di Firenze. Otto giovani sono stati invitati in studio, nella stanza virtuale, mentre oltre un centinaio di ragazzi hanno seguito la diretta YouTube tramite il canale “Pastorale Giovanile Firenze”.

Smarrimento, domande, intuizioni: che cosa ci ha suggerito il Signore durante questo tempo di quarantena? Quali nuove rotte di navigazione? Sono queste le domande che hanno abitato i cuori dei nostri giovani. Le rotte sono sempre soggette a ricalcolo: solo insieme possiamo cercare di capire dove il Signore ci vuole condurre!

Il Vescovo ha iniziato l’incontro con una breve introduzione, che ha posto l’attenzione su due interrogativi fondamentali. “In questo tempo di grandi privazioni, sia dal punto di vista del contatto umano che da quello religioso, che cosa ci è mancato? Si, ci sono le cose semplici, come la pizza -soprattutto le prime settimane, confessa don Giuseppe- ma, come Vescovo, mi sono mancati, fondamentalmente, i contatti con i preti, con la gente, quindi la dimensione comunitaria della vita della Chiesa.” Continua: “solo riscoprendo ciò che ci è veramente mancato, possiamo accorgerci delle cose che dovremo portare anche nel futuro”. Ecco che poi nasce la seconda domanda: il futuro verso dove? Abbiamo bisogno di orientamento, della Luce di Gesù.

Il primo a rompere il ghiaccio è Marco: “dopo questa quarantena continuerò a pregare e a leggere il Vangelo, costantemente, durante la settimana? Come un ragazzo di vent’anni, che ha appena iniziato l’università, come posso cercare di invogliare le persone a passare del tempo con il Signore?”

Anche Chiara, da Signa, laureata ad ottobre in medicina, ed assunta subito durante l’emergenza CoVid, riflette: “l’essere preparati e competenti, richiede tempo che viene tolto alla preghiera. Citando le parole di don Bosco “buoni cristiani ed onesti cittadini”, come posso cercare di trovare il giusto equilibrio?”

Così il Vescovo Giuseppe ci confida: “o le due cose si fondono insieme o arriva una grande scissione dentro di noi. È importante trovare una fusione profonda tra la dimensione religiosa e quella personale, di vita, di professione nella società. Tutto questo nella responsabilità”.

Come si innesta la Parola sulla vita delle persone? Risponde l’Arcivescovo: “o noi interpretiamo in chiave antropologica la nostra lettura della parola di Dio, oppure la nostra lettura della parola di Dio diventa spiritualismo. È facile riempirsi di buoni sentimenti spirituali ascoltando il Vangelo. Il Vangelo scava dentro di noi nel modo in cui lo facciamo interagire con la condizione umana”.

È poi la volta di Ilaria P. che, come educatrice, si domanda come fare a coinvolgere i giovani della sua parrocchia, soprattutto, come far capire ai ragazzi l’importanza di avere un dialogo. A tal proposito, il Vescovo sottolinea l’importanza su come educare al dialogo con Dio e dichiara: “io penso che tutto deve partire da un’esperienza. La mia esistenza è piena di interrogativi, di attese… che si illumina con Dio. Dobbiamo cominciare a fare esperienze vere, che ci aiutino ad uscire da noi stessi. Tutto questo richiede un gesto di affidamento, che nasce dal nostro cuore.”

A seguire c’è poi Guendalina, all’ultimo anno dell’università, che pone i suoi dubbi sul mondo del lavoro, spesso visto sotto la logica del profitto, piuttosto che del bene collettivo. Poi Guendalina conclude: “in questi ultimi giorni, uscendo con gli amici, ci viene la voglia di abbracciarsi; i gesti, che vanno oltre le parole. Come affrontare questa sofferenza, nel mantenere le distanze?”

“Riguardo al lavoro -risponde il Vescovo- lo dovremo vivere come contributo che diamo alla convivenza umana, e non come appagamento di un nostro disegno. Ultimamente si sente parlare molto di “smart working”: una forma di lavoro che si adatta sulla persona, piuttosto che su uno standard di presenza, di orari, di modalità (parametri oggettivi).”

“Sulla distanza, credo proprio -afferma don Giuseppe- che dovremmo continuare a conviverci per ancora diverso tempo. Ci sono però dei linguaggi che non riguardano solo la prossimità corporale: lo sguardo, gli occhi, il sorriso… mi dicono che condividi con me la difficoltà dell’espressione.”

Infine, don Giuseppe confessa: “questa sensazione di precarietà fa si che io, come Vescovo, non possa programmare niente. Come fare la pastorale il prossimo anno? Adesso posso dire che cosa fare tra quindici giorni. Poi i primi di giugno avremo nuove modalità e, allora, dovremo riprogrammare tutto. Questa precarietà ci accompagnerà, senz’altro, per tutto questo anno. Mese per mese. Anche questo è un esercizio ascetico: non dominiamo le cose, ma rispondiamo alla realtà, di volta in volta.”

Ultima a parlare è poi Ilaria T., laureata lo scorso anno in infermieristica e già da qualche mese assunta presso l’ospedale di Careggi. Inizia con una brevissima testimonianza: “a marzo, cinque pazienti del mio reparto sono risultati positivi al virus, così come alcuni dei miei collegi. Da qui, la decisione dei miei genitori di dover cambiare casa nel giro di 24 ore. Tutto questo ha scombussolato la mia vita”. Continua Ilaria: “all’inizio pretendevo di trovare la forza nell’altro, ma non la trovavo. Poi è entrata la fede: mi sono sentita al sicuro, come i discepoli che, nella tempesta, pongono lo sguardo in Gesù. Allora sono tornata alla vita mettendo al centro l’uomo, e non il virus. Da qui è cambiato tutto: non sono sola! Gesù mi accompagna e mi tiene per mano. Il mio timore -confessa Ilaria- è come, una volta tornata alla “vita normale”, restare fissi su questa rotta”.

Il Cardinale accoglie subito le parole di Ilaria, e replica: “il lavoro è il fine dove le persone si incontrano. Nella vita, in genere, ci vuole metodo. Non si può andare sull’istanza del momento. È importante avere un’articolazione organica della nostra vita, così come ritrovare, nel Vangelo, le ragioni per cui servi l’altro. Stabilito cosa è essenziale, diamogli uno spazio nella nostra giornata.”

Dopo quasi un’ora e mezzo di intenso dialogo, in cui hanno partecipato attivamente anche decine di ragazzi tramite i messaggi di chat, la mattinata si è conclusa con la preghiera a Maria durante il Tempo di Pasqua.

È stato bello capire come i giovani e il Vescovo Giuseppe stiano scrutando le stelle insieme, nella più totale armonia di un confronto semplice, spontaneo, ma profondo. Una bellissima opportunità per ripensare, insieme, alla nostra umanità, illuminata dal Signore. Salpiamo ora insieme verso nuovi tratti di mare, con la certezza che il Vento non mancherà alle nostre piccole vele!

 

* Articolo pubblicato su Toscana Oggi del 31 maggio 2020 (file pdf)

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